Il divieto di pubblicare immagini che raffigurino esseri viventi ha creato dibattito, ma senza conseguenze sul miglioramento sui diritti in Afghanistan
Tra le decine di editti restrittivi imposti dai talebani dal 2002 a oggi, ce n’è uno che sta facendo discutere gli afghani più di altri. Si tratta del divieto di pubblicare immagini che raffigurino esseri viventi. Come sottolinea Célia Mercier, responsabile per l’Afghanistan di Reporter senza frontiere (RSF), «sembra che il leader supremo», l’invisibile emiro Hibatullah Akhundzada, «e i suoi alleati a Kandahar», il suo bastione meridionale, «vogliano applicare la politica talebana degli anni ‘90». Questa ulteriore spinta oltranzista mette a rischio i già vessati e pochi giornalisti afghani.
Ci sono però fazioni dei talebani che frenano: nell’era dei social network e dei cellulari, molti di loro ricorrono alle immagini per farsi conoscere. È il caso del potente Sirajuddin Haqqani, vice di Akhundzada, che di recente ha rilasciato una rara intervista al New York Times corredata da un suo ritratto. Il titolo dell’articolo, contestato da molti, era «Può quest’uomo salvare le donne afghane?». La risposta — lo scrive lo stesso New York Times — è no. Ad Haqqani non interessa certo la parità di genere. È semplicemente più attento di Akhundzada alle relazioni pubbliche e sa che la questione femminile rischia di isolare completamente il regime. Questo quadro conferma un dato già noto: i talebani non sono uniti al loro interno. Esistono allora delle crepe nel governo di Kabul nella quale la comunità internazionale, se vuole, si può inserire per tentare di salvare gli afghani. Donne o uomini.
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