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Le milizie democratiche e popolari di Shengal

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Contropiano, 10 ottobre 2024, di Carla Gagliardini

Baghdad. Una parte della popolazione ezida del distretto di Shengal, in Iraq, dopo il genocidio dell’agosto del 2014, ha deciso di applicare il paradigma del confederalismo democratico, nato da un lungo studio e un’approfondita riflessione del leader curdo Abdullah Ochalan, rinchiuso nella prigione di massima sicurezza sull’isola di Imrali, in Turchia, dove si trova dal 1999.

I miliziani del Califfato hanno attaccato il 3 agosto del 2014 la popolazione ezida di questa zona e grazie a un accordo siglato con il Partito Democratico del Kurdistan (KDP), di cui oggi si trova conferma su molta stampa, soprattutto internazionale, l’ingresso nei villaggi ezidi non ha incontrato alcun ostacolo, essendosi i peshmerga del KDP dileguati e, di fatto, consegnando la popolazione nelle mani dei terroristi jihadisti.

Non potendo assistere impotenti allo sterminio della propria gente, gli uomini della comunità hanno imbracciato le poche armi che erano a loro rimaste, dopo le requisizioni dei giorni precedenti proprio ad opera dei peshmerga.

Gli jihadisti hanno catturato migliaia di donne e bambini, ucciso uomini ragazzi e donne anziane, secondo una procedura studiata a tavolino.

Appena due mesi dopo quell’aggressione, sull’onda di un forte senso di ribellione verso le atrocità che si stavano consumando, è nato il primo Consiglio delle unità di resistenza ezide maschili, le YBS (Yekineyen Berxwedana Sengale), costituito da cinque uomini, ma anche da una donna avente funzione di riserva. Tra i fondatori si ritrovano tre figure molto importanti per gli ezidi: Shaid Saed, Shaid Zaley e Shaid Dijwar, diventati martiri e onorati dal loro popolo.

Nei primi mesi del 2015 sono invece nate le unità di resistenza femminili YJS (Yekineyen Jinen Ezidxan). Alla fine dello stesso anno si è poi svolto il primo congresso di tutte le unità di resistenza per eleggere il nuovo Consiglio, formato da tre uomini e due donne ai quali si affiancano sedici membri supplenti, chiamati a ricoprire il ruolo dei componenti nel caso dovessero cadere per mano nemica. I caduti delle YBS e delle YJS non sono stati vittime solo dell’Isis poiché anche la Turchia le ha prese di mira, continuando ancora oggi con attacchi volti a uccidere i vertici e i loro membri.

Le unità di resistenza ezide hanno lottato insieme alle YPG e YPJ del Rojava e alle HPG, ala armata del PKK. Questa stretta vicinanza ha consentito il confronto politico sui principi che reggono la struttura sociale, politica e militare del confederalismo democratico, tra i quali si trovano l’emancipazione della donna e l’autodifesa.

Sorte prima della fondazione dell’Amministrazione autonoma, forma di governo che una parte della popolazione ezida si è data nel distretto di Shengal e costituitasi quando le prime famiglie hanno fatto rientro dai campi profughi, dove avevano trovato riparo fuggendo dall’Isis, le unità di resistenza ezide hanno il compito di proteggere la popolazione e la stessa Autonomia.

Per questo nel 2022 sono intervenute quando l’esercito del governo federale è arrivato fino a Khanasur e a altri villaggi con l’obiettivo di smantellare l’esperienza dell’Amministrazione autonoma. Allo stesso modo non consentono l’implementazione dell’Accordo di Shengal che sancisce, tra le altre previsioni, il loro scioglimento e l’inserimento dei loro membri nell’esercito iracheno, avendo ormai radicata la convinzione che il popolo ezida possa sopravvivere ai continui tentativi di genocidio nei suoi confronti solo applicando l’autodifesa.

Alle unità di resistenza è proibita una forma di intervento di carattere offensivo perché la loro azione si fonda sulla realizzazione di una società dove i popoli costruiscono relazioni di rispetto e collaborazione su un piano di parità, senza negare a nessuno il diritto all’esistenza e alla propria autodeterminazione.

Partendo da questi presupposti, la struttura militare è sì piramidale, come avviene in tutti gli eserciti del mondo, incluso quello del PKK, ma prevede il superamento di alcune regole che costruiscono barriere e gerarchie troppo rigide, allontanando l’idea di un esercito popolare che, al contrario, deve essere fortemente in sintonia con il proprio popolo. Per questa ragione, ad esempio, è bandito il saluto militare, strascico di una vecchia retorica che allontana piuttosto che avvicinare.

L’aspetto democratico più significativo delle YBS e delle YJS è dato dall’elezione dei membri del Consiglio da parte delle loro assemblee. Questi non sono dunque nominati da apparati o strutture di governo. Attraverso un procedimento di autocandidature, a cui viene affiancato una discussione e un controllo serio sulle motivazioni e le capacità di ciascuno, vengono scelti dall’organismo assembleare i rappresentanti che formeranno il Consiglio.

Le YBS e le YJS collaborano in ogni aspetto della vita militare e operano congiuntamente, senza nessuna distinzione. Il ruolo della donna all’interno delle unità di resistenza è l’espressione evidente della realizzazione di due dei pilastri del confederalismo democratico perché oltre ad essere perfettamente integrata all’interno della struttura militare, in modo paritario rispetto agli uomini, realizza la propria emancipazione con un nuovo protagonismo che la mette in prima linea nell’elaborazione delle decisioni e nella difesa del proprio popolo.

Un balzo in avanti per una società che dichiara apertamente che, prima dell’attacco dell’Isis, la donna viveva all’ombra dell’uomo in ruoli puramente marginali. Così, nell’applicare il confederalismo democratico, mentre le riunioni delle YJS vengono convocate esclusivamente da una comandante, quelle delle YBS invece possono essere indette tanto da un comandante quanto da una comandante.

Le unità di resistenza rappresentano un esercito formato non per coscrizione, verso la quale nel corso della storia, soprattutto sotto l’Impero ottomano, gli ezidi si sono ribellati, ma piuttosto un esercito che accoglie chi si riconosce nei suoi principi, ispirati al confederalismo democratico, e volontariamente decide di contribuire alla difesa del proprio popolo.

Per gli ezidi che sostengono l’esperienza dell’Amministrazione autonoma di Shengal, le YBS e le YJS sono i loro figli e le loro figlie, senza alcuna distinzione. Il rapporto creatosi tra le unità di resistenza e la comunità, che reclama il diritto alla pace e all’esistenza, è di una profonda interconnessione che induce a pensare che si tratti realmente di un esercito popolare e democratico.

Originariamente le unità di resistenza, nella lotta contro l’Isis, hanno ricevuto il contributo economico proveniente dalla Resistenza del Rojava. Successivamente è stato il governo centrale a farsi carico del costo della loro struttura, per poi cancellarlo in un secondo momento. Oggi le unità di resistenza vivono principalmente grazie alle rimesse dall’estero di familiari e altri ezidi che si riconoscono nel progetto dell’Amministrazione autonoma, anche se vi sono membri che decidono di rinunciare allo stipendio, considerano la loro adesione come un dovere irrinunciabile verso la c. File di giovani ezidi chiedono di potersi arruolare ma molte domande vengono respinte poiché a inoltrarle sono minorenni.

Su questa forma organizzata di autodifesa il popolo ezida di Shengal investe molto sapendo che la propria sopravvivenza dipende anche dalla sua capacità di organizzarsi rispetto alle pretese dei tanti attori regionali, il KDP in primo luogo ma anche il governo federale, e internazionali, la Turchia soprattutto, che vogliono non solo cancellare l’esperienza dell’Amministrazione autonoma di Shengal ma anche ridurre al silenzio il popolo ezida che resiste.

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