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Afghanistan/Divieto di parola alle donne: apartheid di genere, un crimine per l’ONU

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noidonne.org Paola Ortensi 4 settembre 2024

A tre anni dalla fuga degli USA, e del mondo occidentale, dall’Afghanistan la repressine nei confronti delle donne va combattuta anche con il diritto internazionale. L’impegno di Caterina Caselli

Il femminile di giornata / ventitrè. Zitta tu! Donna per te c’è divieto di parola
La voce è l’anima, il pensiero, l’esistere. Persino gli schiavi potevano cantare con le catene ai piedi. Una memoria, una nota che dice più di mille parole, quella che Caterina Caselli ha citato per stigmatizzare la nuova aberrante violenza dei talebani verso le donne in Afghanistan. Caterina Caselli, interpretando un sentimento forte e diffuso, ha ”urlato” un appello perché noi donne libere alziamo la nostra voce in difesa delle donne Afghane e dei soprusi e violenze che subiscono.
A tre anni dalla fuga dell’America e degli occidentali da Kabul, dopo la proibizione di studiare, lavorare, uscire senza burka e non accompagnate da un uomo di famiglia è arrivato l’ultimo sfregio: proibizione di parlare in pubblico, di usare la voce ovviamente di cantare.
In sostanza proibizione di esistere!
Un divieto di esistere ovviamente minacciato di sanzioni fisiche estreme, qualora non fosse rispettato.
E’ il 15 agosto di questo 2024 quando il leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada, decide di codificare in un testo di 114 pagine e 35 articoli le norme già in vigore dai tre anni del loro governo, aggiungendo anche nuove restrizioni e divieti.
Il testo è firmato dal ”Ministero promozione virtù e prevenzione del vizio” che ha sostituito quello per gli affari femminili. La nuova legge ne ha anche per gli uomini, per i quali è fatto obbligo di curare la barba o è impedito di indossare pantaloni sopra le ginocchia, divieti odiosi ma incomparabili con il castigo destinato alle donne. Per loro, imponendo di ‘spegnere la voce’, la condanna è definitiva.
E non manca la spiegazione di tanta aberrazione perché la voce femminile – si precisa nel delirante comunicato – può indurre l’uomo in tentazione.
La voce della donna è considerata privata e quindi non dovrebbe essere ascoltata in pubblico. Tale è l’ossessione che i talebani mostrano nei confronti delle donne da far pensare che sia generata dalla paura, dal fatto che temono le donne e per questo le combattono con una repressione esercitata a 360 gradi cercando di spegnerle, di cancellarle
E forse è bene che i talebani non sottovalutino le “loro” donne ed è comprensibile che, da vigliacchi, ne abbiano paura reprimendole e offuscandole in ogni modo. La storia femminile afghana degli ultimi tre anni racconta di resistenti, di vere “partigiane della libertà” che non intendono arrendersi. Quando il 15 agosto del 2021 (ricordo nuovamente) gli americani, con al seguito tanti paesi dell’occidente compresa l’Italia, hanno lasciato l’Afghanistan, le donne che avevano vissuto vent’anni di libera espressione di sè – studiando, laureandosi, lavorando, impegnandosi in tutti campi, direi vivendo la normalità dovuta – dopo qualche promessa a mezza bocca, sono state ricacciate in casa e mano mano, umiliate e private di ogni diritto.
Ma le afghane, in tante, non si sono arrese e sfruttando la tecnologia, quale alleata benemerita, e la casa in cui sono state ricacciate, si sono ribellate alla rassegnazione. Hanno combattuto, da vere resistenti, usando il mondo virtuale, inventando e organizzando attività on line: scuole clandestine, istruzione a ogni livello, lingue straniere, informatica, disegno, cucito, cucina piccoli business domestici d’artigianato di diverso tipo e tutto quanto il senso imprenditoriale e la creatività ha loro suggerito. Persino l’odiato burqa è divenuto nascondiglio nelle uscite possibili, accompagnate da uomini della famiglia, di strumenti, manufatti, o qualunque cosa dovesse essere portata fuori da casa.
Ma zittire le donne, considerare la loro voce strumento di corruzione è davvero troppo ed inammissibile.
Di fronte a questo orrore il mondo deve alzare la voce. L’accusa di apartheid di genere, con cui attaccare il governo dei talebani è una delle proposte in campo, da portare avanti chiedendo all’ONU di approvarla.
Oggi l’apartheid è un crimine secondo il diritto internazionale, ma solo per la discriminazione razziale, mentre per abusi come quelli compiuti in Afghanistan non c’è responsabilità giuridica.
È tempo dunque di codificare anche l’apartheid di genere come crimine. Su questo obiettivo c’è già l’impegno di 10 paesi tra cui: Stati Uniti, Canada, Australia, Cile, Filippine, Malta, Messico che hanno approvato la codifica dell’apartheid di genere e la sua inclusione nel trattato sui crimini contro l’umanità che verrà discusso entro il 10 ottobre e che sarebbe importante fosse appoggiato anche dall’Italia. L’Italia dei cittadini, l’Italia del governo. L’Italia delle donne a cui si riferiva Caterina Caselli, oggi importante produttrice discografica che da cantante di successo nella sua giovinezza in quella uccisione della voce si è sentita coinvolta, immediatamente, in prima persona, e non a caso ha usato la sua voce, le sue parole chiedendo a tutte noi di scendere in campo a fianco delle donne afghane.

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